Harken Italy, qui si fabbricano winch per tutto il mondo

Affidabilità e innovazione, lavoro di squadra e cura dei clienti. Da oltre 50 anni sono i punti di forza di Harken, azienda leader nell'attrezzatura di coperta. Abbiamo visitato la sede italiana dove si progettano e producono winch per tutto il mondo
«Siamo focalizzati sull’innovazione. Cerchiamo le giuste soluzioni alle necessità di tutti i velisti e delle loro imbarcazioni». È uno dei primi obiettivi che definiscono la filosofia Harken, azienda statunitense leader nell’attrezzatura di coperta, uno slogan affisso anche vicino alla macchinetta del caffè e visibile a tutti.

Siamo a Limido Comasco (CO), dove Harken ha il secondo sito strategico e operativo più grande al mondo dopo quello centrale nello stato del Wisconsin negli USA. In seguito all’acquisto, nel 1987, di Barbarossa, fabbrica della famiglia Bassani che produceva verricelli, qui si progettano e producono winch per tutto il mondo. Varcare la soglia di questa mitica azienda, fondata nel 1967 dai fratelli Peter e Olaf Harken, ci ha suscitato le stesse emozioni che immaginiamo proverebbe un appassionato di tecnologia in visita ai colossi hi-tech della Silicon Valley americana di San Francisco.

L’edificio è un museo: foto e progetti di imbarcazioni che hanno fatto la storia della vela abbelliscono corridoi e pareti, i nuovi prodotti sono esposti in bella mostra e una lunga vetrata permette di affacciarsi direttamente sul sito produttivo. Un altro pezzo forte è l’America’s Cup Room, un cubo di vetro dove sono definiti prodotti e strategie con i team di ogni edizione della Coppa. «Il nostro bene più grande sono tutti i componenti del nostro team» si legge ancora nella filosofia aziendale e infatti sono fotografati con nome e ruolo nelle prime pagine del catalogo.

Dai Ceo ai direttori generali, da chi lavora in amministrazione al magazzino, dagli operatori all’assistenza clienti. Sono circa quattrocento e servono dieci pagine per pubblicarli tutti. Come ci ha raccontato il direttore generale di Harken Italy Andrea Merello «noi creiamo valore, oltre che prodotti». Nel nostro incontro parliamo anche con Emanuele Cecchini, direttore commerciale e di entrambi riportiamo sensazioni e commenti raccolti in un’intera giornata spesa a visitare uffici, isole produttive e sale riunioni curate come gioielli.
Come è cambiato il winch negli ultimi anni?
Emanuele Cecchini
«Il verricello è diventato un oggetto più versatile, può essere declinato in molti modi, prima era solo un pezzo meccanico a sé, ora è invece integrato alla perfezione con il piano di coperta. Il nostro Flat winder (un sistema per regolare il trasto della randa elettricamente, n.d.r.) è un esempio chiaro di questa integrazione».

Cosa vuol dire innovazione per Harken?
Andrea Merello «Qualcuno sostiene che i prodotti piccoli siano difficili da innovare. Io sono convinto che non è vero. L’innovazione è solo un discorso di approccio. Nel piccolo puoi fare tanta innovazione, si tratta di cambiamenti minimi, spesso poco visibili e complicati da comunicare. La loro somma permette di realizzare un prodotto migliore, che il mercato riconosce e premia. Investiamo una discreta percentuale del fatturato in innovazione: il problema non è avere idee, ne abbiamo in abbondanza e tante arrivano anche dal mercato, ma organizzarle in termini di priorità e riuscire a gestire la produzione per poterne realizzare il più possibile. L’innovazione è anche un lusso: negli ultimi due anni abbiamo potuto investire circa 200 mila euro per lo sviluppo del Captive winch idraulico da 70 tonnellate».
Cosa vedremo a bordo tra dieci anni?
AM «Siamo in un settore dove i margini di sviluppo sono ancora ampi e non credo che l’attrezzatura di coperta sarà simile a quella di oggi che, a sua volta, non è uguale a quella di dieci anni fa. Per capire cosa vedremo dobbiamo guardare a cosa stiamo cercando di fare oggi. Il mercato della nautica è conservativo e alcune innovazioni impiegano dieci o quindici anni prima di essere accettate. Ad esempio, il nostro Assisted Sail Trim (sistema di regolazione automatica delle vele, n.d.r.) è un progetto che avevamo sviluppato per la Coppa America del 2003, ma solo nel 2015 è arrivato sul mercato. E non è ancora stato recepito come speravamo. Anche il Rewind winch, capace di cazzare e lascare una cima senza toglierla dal tamburo del self-tailing, è considerato una pietra miliare, ma lo stiamo vendendo bene solo adesso, dieci anni dopo averlo presentato. Per particolari più piccoli serve meno tempo: abbiamo introdotto i cuscinetti in materiale plastico nella Coppa del 1995 e dopo poco diffusi nella linea Radial».

Ha citato l’AST, a quando la barca automatica?
AM «Credo che l’AST sia il limite di automazione massima immaginabile oggi nella vela. A parole si può anche dire di poter andare in automatico da Genova a Cala Galera, in teoria è possibile, ma ci sono aspetti di marineria e sicurezza da non sottovalutare. Se non siamo ancora arrivati a far viaggiare da sole le macchine da un luogo all’altro lungo una strada, per riuscirci con una barca c’è da aspettare ancora. L’AST ha invece un livello di automazione provato nel corso di dieci anni di prove in mare, e serve sempre una persona con le mani ben salde sul timone. Crediamo che l’automatismo vero e proprio non sia ancora compatibile con la vela».
Come le sembra la situazione dei cantieri?
EC «La percezione è positiva, abbiamo tanta richiesta e i cantieri hanno voglia di innovare e mettersi in discussione. Il controllo dei costi è alla base, devono avere il miglior risultato al costo più vantaggioso e questo stimola lo studio di nuovi prodotti. Le aspettative dei clienti sono alte, mai tralasciare attenzione al dettaglio».

Come sono cambiati gli armatori?
EC
«Ho la sensazione che il nuovo armatore navighi di più rispetto a quello di qualche anno fa, vedo un maggior utilizzo della barca. Ci sono stati anni in cui, secondo me, le barche uscivano poco dai porti, anche perché erano meno performanti. Oggi sono veloci, si regata con equipaggio ridotto, mentre una volta dovevi avere tre persone solo a prua per riuscire ad ammainare una vela. Adesso esegui tutte le manovre dal pozzetto, ci sono le vele con le calze, gli avvolgifiocco, i carrelli Battcar per issare, ammainare e terzarolare le rande e capita di vedere barche di 60' che vanno serenamente in crociera portate solo da marito e moglie. È aumentata la sicurezza e anche la competenza, vedo un trend positivo su tutti i fronti».

E le barche?
EC
«Una volta c’era una forte distinzione tra barca mediterranea e nordica. Oggi sempre più clienti che provengono dai paesi del Nord scelgono barche mediterranee perché navigano tanto nelle nostre acque, hanno capito che i dislocamenti medio/pesanti non hanno senso da noi e devi poter navigare bene a vela su una barca mediamente leggera, con spazi esterni abitabili. E l’attrezzatura gioca un ruolo importantissimo in questa integrazione: anni fa il sistema Battcar era visto male, gli armatori ne avevano paura, hanno cambiato idea dopo aver constatato che potevano prendere i terzaroli anche in poppa. I sistemi sono sempre più affidabili e desiderati, ed è giusto così. Esci in mare e in un attimo tiri su la vela, la apri altrettanto velocemente e in pochi minuti stai già navigando. Oggi una barca di 40 piedi con sistema Battcar e un Rewind winch permette a una persona con handicap fisico di tirare su e giù una randa e gestirla senza problemi».
Siete riconosciuti per l’affidabilità dei vostri prodotti. Qual è il segreto?
AM
«Il verricello è un componente piccolo e come diciamo noi, la Coppa non la vinci per un verricello, ma la puoi perdere per un verricello. E non vuoi trovarti sul pontile mentre torna a terra il team che l'ha persa a causa del tuo winch. Devi stare lontano da questa evenienza. Abbiamo un’attenzione maniacale e la costruzione di ogni singolo componente subisce numerosi controlli di qualità che, insieme al test di endurance del prodotto finito, costituiscono la base dell’affidabilità Harken, consentendoci di essere tranquilli quando un velista è in oceano o un team in finale di Coppa con i nostri prodotti. Nel settore racing abbiamo imparato a limare tutti i margini per dare esattamente ciò che serve senza che nessuno perda una regata per colpa tua e, allo stesso tempo, non portarsi in giro un kg che non serve. In tutto il resto cerchi di tenerti nel margine di sicurezza e dare un prodotto affidabile».

Come avviene il test di endurance?
AM
«Il winch è fissato su una base in sala prove e testato in condizioni reali: viene portato per mille volte di seguito da zero al carico di lavoro e viceversa facendogli tirare una cima. Il movimento è doppio e quindi si tratta di un ciclo di duemila volte. Al termine della prova il winch viene smontato e i componenti non devono mostrare alcuna traccia di usura problematica. È l’apice dei nostri controlli, che comprendono anche test per verificare la resistenza meccanica e la fragilità del metallo, un compromesso difficile da trovare e che abbiamo messo a punto con un trattamento termico di quattro ore che svolgiamo al nostro interno. Un altro test interessante è quello della corrosione, che eseguiamo lasciando i componenti in una camera di nebbia salina per ventuno giorni, un tempo che equivale a dieci anni in mare. Svolgiamo prove di porosità per metalli e con lampade UV per testare le plastiche. Un nuovo winch standard subisce tredici test per il controllo di qualità».
Come fate a mantenere questo livello di qualità?
AM
«Nel nostro settore non ci sono certificazioni alle quali sottostare: se vuoi lavorare a un certo livello di qualità devi crearti uno standard al quale attenerti nella progettazione e produzione. Negli ultimi venti anni Harken si è dotata quindi di un modello organizzativo del lavoro ambizioso in termini qualitativi. Abbiamo creato oltre venti specifiche di produzione che abbiamo passato ai fornitori affinché le applichino nel realizzare i materiali che serviranno per la produzione».

Coppa America e Volvo Ocean Race, ci sono differenze nei prodotti?
AM
«L’affidabilità è una parte fondamentale di entrambi gli eventi, ma è chiaro che le sollecitazioni siano molto diverse: un VOR 65 che si infila in un’onda a 30 nodi diverse volte al giorno per un mese di fila è una situazione opposta a quella di un AC, dove a fine giornata il team smonta, pulisce e controlla tutti i winch. Nella Volvo ci sono meno differenze tra le barche e la customizzazione dei prodotti è sviluppata soprattutto da noi. Nella Coppa invece il lavoro è simile a quello della Formula 1, ogni team ha le sue esigenze e c’è un vincolo confidenziale estremamente severo rispetto al quale, negli anni, ci siamo guadagnati la stima di tutti. Il livello di personalizzazione è spinto all’estremo: i team hanno esigenze e visioni diverse su come eseguire le manovre per essere il più veloci possibile, il nostro lavoro è soddisfarle tutte».

A proposito di Coppa, vi piace il nuovo AC 75?
EC
«A me piacciono i cambiamenti, li trovo stimolanti. Non vedo controindicazioni con la nuova barca, spero solo che sia definita in maniera ragionevole dal Defender e Challenger of Record (rispettivamente Emirates Team New Zealand e Luna Rossa, n.d.r.) e accolta bene dall’ambiente. Sono curioso di vederla all’opera in un match race, e poi spero di rivedere i cambi di vele, un’operazione che ha sempre il suo fascino, anche se con una barca così veloce cambiano i parametri».
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